La filosofia fuori di sé. La felicità è possibile nella scuola.

Quel che segue è una sorta di sintesi del progetto che, con un gruppo meraviglioso di studentesse e studenti dell’ultimo anno, abbiamo realizzato tra dicembre 2023 e dicembre 2024, in seguito al femminicidio di Giulia Cecchettin. Quel che segue ospita allora un azzardo: la filosofia può sopportare la contraddizione di parlare di felicità anche dopo la morte, senza ridere di essa. E’ un modo per dimostrare come la filosofia sia ancora possibile a scuola e come, con essa, si possa non chiudere gli occhi di fronte alla complessità del presente.

Propriamente nostalgia

«La filosofia è propriamente nostalgia, un impulso ad essere a casa propria ovunque»

Ci sono vari modi per fare filosofia, o per essere filosofi. Quel che mi è stato concesso, è di praticarla a scuola. E a scuola, vi sono altrettanti vari modi di far filosofia.
C’è quello rassicurante – storico e dossologico, la “galleria di opinioni”, la chiama Hegel, per cui “Talete è quello dell’acqua, Anassimandro dell’apeiron, Eraclito del fuoco”. A ciascuno la sua parolina, il suo posto, come barattoli al supermercato. C’è quello dinamico – smart – che si fa concreto soprattutto negli esperimenti di debate, di dialettica muscolare. Quello per cui, si dice, la competizione è la più alta forma di collaborazione.
Tutti hanno punti di forza e tutti sono impiegati con fecondità.
Eppure, se posso, inizio con una poesia e accetto che il discorso si faccia scivoloso, perché i poeti, sapienti di emozioni, sanno giocare con le parole e dunque manipolare. Ma da essi, i filosofi hanno imparato una cosa di importanza capitale, che è proprio quella di scegliere le parole da usare. Nel poeta nessuna parola accade a caso.

Chiedo a Novalis in prestito questa parola e la prendo con me. Nostalgia. Perché prima di tutto so che alcune ragazze e alcuni ragazzi mi mancheranno. Mi mancano di già. E mi mancano le scuse per riveder i loro volti.
Uso Novalis per iniziare, al terzo anno, il percorso della storia della filosofia. Novalis e poi l’interpretazione di Heidegger: la totalità come bisogno di una filosofia che è malattia, che non può fare a meno di cercare. E poi il kosmos greco, quindi l’arché. In quelle prime precarie spiegazioni, gioca un poco ogni volta la nostalgia per le lezioni di chi, all’università, mi ha fatto conoscere queste cose. E’ un passaggio di testimone, forse.

Iniziare con la nostalgia è tuttavia prendersi un impegno, o meglio: fare una promessa. È stabilire un patto con la classe e impegnarsi in prima persona. Ciò che faremo insieme dovrà avere un senso per me, per voi, per noi. Ciò che potrebbe soffiare in questo spazio che è aula è aria diversa, sensazioni da ricordare. Parrà forse insensato ai cinici e ai codardi, quelli che scordano che chi c’è davanti non rimpiangerà le alte torri della verità, ma la fertile pianura dell’esperienza.

Filosofia tra tutte

La domanda quindi è lecita: che c’entra la nostalgia con la scuola? La prima cosa che ci torna in mente degli anni delle superiori sono le nostre compagne e i nostri compagni, le situazioni ironiche o assurde, le pessime figure, la fatica in fondo fatta insieme. Potremo mai avere nostalgia di una verifica di matematica o di storia? Può darsi, ciascuno ha le sue perversioni. Più facilmente, potremmo avere nostalgia di una gita, di una partita di pallavolo contro quelli di 5B, di un lavoro fatto in gruppo, di un dibattito, di un momento in cui in aula ci si è parlati liberamente e col cuore.
La filosofia è necessariamente una materia tra le materie – fa parte della logica dell’istituzione scolastica. Ma non è solo tale. Si badi, questo vale per ciascuna disciplina. La filosofia non è più di qualcos’altro. Semplicemente, sa di non esser di più. Questo è il suo di più. Ora, le discipline diventano altro da materie nell’orario settimanale, quando cogliamo il fatto che chimica o storia dell’arte, elettrotecnica o geografia, matematica o filosofia sono anche e soprattutto linguaggi per comprendere il mondo, per costruire e decostruire il mondo.

«Rifare il mondo, dopo il discorso devastante del mercante», dice Turoldo.

Talvolta, alla fine della quinta ora, mi resta questo briciolo di certezza: non si tratta più di spiegar loro il mondo, quanto piuttosto di capirlo insieme a loro. O la scuola fa sua questa urgenza, o andrà a scomparire per come l’abbiamo conosciuta. Ma, se fa sua questa esigenza, andrà a scomparire per come l’abbiamo conosciuta, perché il come l’abbiamo conosciuta oggi è insufficiente e della scuola per il come l’abbiamo conosciuta non dovremmo avere nostalgia.
Non è un vaticinio, né una minaccia; è una speranza.

Ragionevole speranza

Il Fedone è il dialogo della speranza, vissuto da Socrate mentre il veleno serpeggia e fa il suo implacabile effetto. E’ il dialogo in cui il filosofo e i suoi compagni sperimentano tutti i limiti della logica e in cui si capisce che l’unico modo per vivere il silenzio spettrale della morte è quello di non cederle parola, cioè di cercare ancora parole, ma in altro modo.
Il motivo per cui siamo giunti a questo punto è la morte – puzzolente bastarda, la chiama Hemingway, quando ne avverte l’alito. La morte di Giulia non è stato un pretesto: ragazze e ragazzi, con modalità diversissime, hanno avvertito più che di fronte ad altri, cosiddetti, fatti di cronaca, che qualcosa bisognava fare. Ragazze e ragazzi, sin dalle classi prime, hanno accettato di fermare tutto per mettersi a parlare, accompagnati non da adulti, ma dalle loro compagne e dai loro compagni di quinta. Queste ultime e questi ultimi hanno ragionato su come aprire il discorso senza imporre risposte, su come raccogliere balbettìi e proteste, sofferenze e perplessità. Non ci sono state esperte o esperti, ma solo persone, ciascuna delle quali è di certo la più esperta della propria vita.
Così, l’unico modo per vivere il silenzio della morte è, ad Atene migliaia di anni fa come per noi, quello di parlarne e di parlarsi. Quando mancano la spiegazioni, l’unica via è quella di cambiare linguaggio e cantare insieme – o rivolgersi agli dei se volete. Questo fece Socrate.
Di fronte alla morte del pensiero che l’istituzione-scuola spesso produce, l’unica possibilità è cambiare linguaggio.
Di fronte alla morte di Giulia, l’unica possibilità è stata quella di cambiare linguaggio.
Cambiarlo significa tornare a dargli peso, tornare a ponderare le parole (violenza, patriarcato, ascolto, cura, indifferenza…) senza darle per assodate. Tornare a ricordare che ogni parola ha un sottofondo emotivo, una storia dietro.
Il cambio del linguaggio è stato quello di pensare assieme, di ascoltare/ascoltarci e accettare di non avere soluzioni. Non ha certo potuto alleviare in nulla il peso che grava sui cuori della famiglia di Giulia, e tuttavia, proprio nel rispetto e sulla scia di come essa intende dare fecondità a questa morte, il silenzio della paura non ha prevalso.
La filosofia è tornata alla domanda senza risposta – non vuol dire che non ne abbia, di risposte, ma che possa cercare un senso senza imporle, pur con la sua tragica urgenza di trovarle. «Quando la ragione nacque, nei bei giorni di Grecia – dice Maria Zambrano – fu la depositaria, il veicolo della speranza».

Comune praxis

Abbiamo cercato un senso, e lo abbiamo cercato insieme. I cinici e i codardi, ancora loro, diranno che è insufficiente, che è forse impossibile. Nelle nostre aule serpeggia quel risentimento che Nietzsche, spiega Deleuze, ha cercato di stanare: è quell’atteggiamento per cui, per dirsi buoni, prima di tutto si ha bisogno di individuare “i cattivi”, ciò che è sbagliato, quel che non funziona. Una versione impoverita e volgare della dialettica spinge molte e molti di noi a cercare la rassicurazione di non-essere-come-loro, a sprecare energia in uno scetticismo disperato. Platone non intende arrestarsi al dolore e al silenzio della morte del maestro e, per bocca di Cebete, invoca: «Socrate, prova a convincerci come se effettivamente avessimo paura, e anzi, come non fossimo noi ad aver paura, ma piuttosto quasi che vi fosse in noi un bambino terrorizzato da queste cose. Cerca, quindi, di dissuaderlo dal temere la morte come uno spauracchio». E’ solo una suggestione forse, ma penso che l’intero sistema platonico nasca dal canto conclusivo di Socrate, nel Fedone. Quasi una ninna nanna per accompagnare i bimbi nel sonno della notte.

Aristotele dimostra che la felicità è nel pensiero, nel pensare, nella nostra capacità più autonoma. La Teoria è la più alta forma di Praxis e Praxis è vita. Certo, dice il Filosofo, si può far da soli, ma quando si fa insieme è forse ancora meglio. Mi affascina questo dubbio aristotelico, questo “forse” in cui si nascondono le ore in discussione con il suo maestro e con i compagni di scuola.
Anche noi abbiamo sperimentato questa forma di felicità nella filosofia. In sostanza, abbiamo camminato insieme.
«Quali radici hanno in noi pensiero e poesia? Ci interessa la necessità, l’estrema necessità, che le due forme della parola possono colmare. Qual è l’indigenza d’amore alla quale mettono riparo?». Così, ascoltando ancora Maria Zambrano, la parola conclusiva va a Fernando Pessoa, poeta:

Se potessi mordere la terra intera
e sentirne il sapore,
sarei per un momento più felice…
Ma io non sempre voglio essere felice.
Ogni tanto è necessario essere infelici
per poter essere naturali…

Non tutti sono giorni di sole,
e la pioggia, quando manca, la si invoca.
Perciò prendo l’infelicità e la felicità
naturalmente, come chi non si sorprende
che esistano monti e pianure,
che esistano rocce ed erba…

L’importante è essere naturali e tranquilli
nella felicità e nella infelicità,
sentire come chi guarda,
pensare come chi cammina,
e in punto di morte, ricordarsi che il giorno
muore,
che il tramonto è bello e bella è la notte che resta…
Così è e così sia…

Questo contributo è stato pensato per questo blog e per un monografico di Madrugada in uscita nel 2025

Tutti

ESSI, TUTTI LO SANNO

Chiedete ai pittori da marciapiede di Parigi

Chiedete al sole su un cane addormentato

Chiedete ai 3 porcellini

Chiedete al giornalaio

Chiedete alla musica di Donizzetti

Chiedete al barbiere

Chiedete all’assassino

Chiedete all’uomo appoggiato al muro

Chiedete al predicatore

Chiedete all’ebanista

Chiedete al borsaiolo o al prestatore

Su pegno o al soffiatore di vetro

O al venditore di letame o al dentista

Chiedete al rivoluzionario

Chiedete all’uomo che ficca la testa

Nelle fauci d’un leone

Chiedete all’uomo che sgancerà la prossima bomba atomica

Chiedete all’uomo che si crede Cristo

Chiedete alla cutrettola che la sera torna al nido

Chiedete al guardone

Chiedete all’uomo che muore di cancro

Chiedete all’uomo che ha bisogno di un bagno

Chiedete all’uomo con una gamba sola

Chiedete al cieco

Chiedete all’uomo che parla bleso

Chiedete al mangiatore d’oppio

Chiedete al chirurgo tremante

Chiedete alle foglie sulle quali camminate

Chiedete allo stupratore o al bigliettario

Di un tram o a un vecchio che strappa le erbacce nel giardino

Chiedete a una sanguisuga

Chiedete a un domatore di pulci

Chiedete a un mangiatore di fuoco

Chiedete all’uomo più miserabile che riuscite a trovare nel suo miserabile momento

Chiedete a un maestro di judo

Chiedete a un guidatore di elefanti

Chiedete a un lebbroso, un ergastolano, un tisico

Chiedete a un professore di storia

Chiedete all’uomo che non si pulisce mai le unghie

Chiedete a un pagliaccio o alla prima faccia che vedete alla luce del giorno

Chiedete a vostro padre

Chiedete a vostro figlio e al suo figlio futuro

Chiedete a me

Chiedete a una lampadina bruciata in un sacchetto di carta

Chiedete ai tentati, ai dannati, agli stolti,

Ai saggi, agli adulatori

Chiedete ai costruttori di templi

Chiedete agli uomini che non hanno mai portato scarpe

Chiedete a Gesù

Chiedete alla luna

Chiedete alle ombre nel ripostiglio

Chiedete alla falena, al monaco, al pazzo

Chiedete all’uomo che disegna le vignette del “New Yorker”

Chiedete a un pesce rosso

Chiedete a una felce che balla il tiptap

Chiedete alla carta geografica dell’India

Chiedete a un viso gentile

Chiedete all’uomo che si nasconde sotto il vostro letto

Chiedete all’uomo che odiate di più a questo mondo

Chiedete all’uomo che ha bevuto con Dylan Thomas

Chiedete all’uomo che ha allacciato i guantoni di Jack Sharkey

Chiedete all’uomo dalla faccia triste che beve il caffè

Chiedete all’idraulico

Chiedete all’uomo che ogni notte sogna gli struzzi

Chiedete alla maschera di un baraccone

Chiedete al falsario

Chiedete all’uomo che dorme in un vicolo sotto un foglio di carta

Chiedete ai conquistatori di nazioni e pianeti

Chiedete all’uomo che si è appena tagliato un dito

Chiedete a un segnalibro nella Bibbia

Chiedete all’acqua che sgocciola da un rubinetto mentre

Squilla il telefono

Chiedete allo spergiuro

Chiedete alla vernice blu scuro

Chiedete al paracadutista

Chiedete all’uomo col mal di pancia

Chiedete all’occhio divino così mellifluo e lacrimoso

Chiedete al ragazzo che indossa calzoni attillati nell’accademia dispendiosa

Chiedete all’uomo che è scivolato nella vasca

Chiedete all’uomo azzannato dallo squalo

Chiedete a quello che mi ha venduto i guanti spaiati

Chiedete a questi e a tutti quelli che ho lasciato fuori

Chiedete al fuoco al fuoco al fuoco…

Chiedete anche ai bugiardi

Chiedete a chi vi pare quando vi pare il giorno che vi pare

Che stia piovendo o che sia nevicato o che stiate uscendo su una veranda gialla di sole caldo

Chiedete a questo chiedete a quello

Chiedete all’uomo con la cacca d’uccello sui capelli

Chiedete al torturatore d’animali

Chiedete all’uomo che ha visto molte corride in Spagna

Chiedete ai proprietari di cadillac nuove

Chiedete alle celebrità

Chiedete ai timidi

Chiedete agli albini e all’uomo di stato

Chiedete ai padroni di casa e ai giocatori di bigliardo

Chiedete ai cialtroni

Chiedete ai sicari prezzolati

Chiedete ai calvi e ai ciccioni

E agli uomini alti e a quelli bassi

Chiedete agli uomini con un occhio solo,

A quelli sempre arrapati e a quelli no

Chiedete agli uomini che leggono tutti gli articoli di fondo

Chiedete agli uomini che coltivano le rose

Chiedete agli uomini che quasi non sentono dolore

Chiedete ai moribondi

Chiedete a chi falcia il prato e a chi va alla partita di calcio

Chiedete a qualcuno (uno qualsiasi) di questi o a tutti questi

Chiedete chiedete chiedete e tutti vi diranno:

Una moglie brontolona affacciata alla ringhiera è più di quanto un uomo possa sopportare.

Henry Charles “Hank” Bukowski Jr.