Primo: Giovedì_7_maggio_21.30@Zoom
Tutto parte dal tema nel quale siamo immersi, il Covid-19, nella sua accezione complottista. Dunque: che si dice in giro del C19? Cosa ne pensano “color che sanno”? Ci facciamo aiutare dal sempre preciso ILPOST, che QUI spiega di cosa stiamo parlando a parte objecti e cioè le teorie che riconducono la pandemia ad una decisione umana.
Pervenne la mortifera pestilenza: la quale, per operazion de’ corpi superiori o per le nostre inique opere da giusta ira di Dio a nostra correzione mandata sopra i mortali, alquanti anni davanti nelle parti orientali incominciata, quelle d’inumerabile quantità de’ viventi avendo private, senza ristare d’un luogo in uno altro continuandosi, verso l’Occidente miserabilmente s’era ampliata. (Boccaccio)
E tuttavia si rende necessario chiedersi cosa succeda, come fa il dott. De Vincentiis, nella testa del complottista, spostando l’attenzione sul soggetto che aderisce a queste spiegazioni paranoiche di fenomeni altrimenti oggetto di analisi scientifica.
Il dato di fatto è che non tutti cadono nella rete dei dietrologi. Perché? Qual è il modello mentale che favorisce questo tipo di spiegazioni?
>>>L’eventuale emozione di sorpresa, di sgomento e di preoccupazione che susciterà con la condivisione della notizia cospirazionistica lo farà sentire il protagonista della situazione, come colui che è riuscito a catturare l’interesse di qualcuno e a colpire le sue emozioni.
>>>Il complottista può essere una persona ben adattata nel contesto sociale in cui vive e avere anche buone relazioni, ma si evincono, spesso, modalità di ragionamento simil-deliranti in cui un’idea, una volta radicata, non viene mai modificata, anche dinanzi alla logica più schiacciante o ai fatti.
>>>Se è colpa di qualcuno, combattendo questo qualcuno, posso avere il controllo della situazione.
Immediato, per chi è un poco complottista su se stesso, il riferimento ai PROTOCOLLI DEI SAVI DI SION (così abbiamo fatto anche un collegamento storico, tié). Ci si chiede tuttavia come sia possibile rendere in qualche modo paranoide una decisiva porzione di una società , come nel caso della Germania dei secondi anni trenta, se non con un martellante progetto propagandistico sull’esistenza del “nemico interno” che aveva condotto la Germania in condizioni pietose: la fattualità dell’effetto trascinava con sé la ricerca della causa.
Del resto, in seconda battuta, ci siamo chiesti se la curiosità dello scienziato non abbia in qualche modo dei tratti complottistici o meglio, in termini metaforici, paranoidi: che cosa lo spinge a trovare a tutti i costi una risposta? Che cosa lo trascina a fuggir lontano dal “regresso all’infinito”?
A questo punto si aperto il confronto da un lato tra spiegazioni pseudoscientifiche e scientifiche, e quindi su che cosa sia scienza, dall’altro sulla diversità di risposta tra scienza (in particolare medicina) e fede.
Ci si è chiesti a quale domande queste discipline (linguaggi?) rispondano e se sia possibile dare un primato ad una delle due. Ma anche: è necessario dare un primato? Perché c’è bisogno di dare un primato?
Ma anche: fede e scienza sembrano opposte. Ma non è vero in fondo che anche lo scienziato (o a chi a lui si affidi) deve adottare un presupposto metafisico al quale aderire irrazionalmente? Per esempio il fatto di fidarsi della ragione umana. Oppure, da parte del paziente, il fatto di fidarsi del medico.
La scienza è efficace nell’ambito dei fatti sperimentabili, attraverso un linguaggio, direbbe Popper, che si sottoponga volontariamente a verifica. Ma quando non ha risposte? Perché non riesce o proprio non può darle? Cosa accade di fronte ad un male individuato come incurabile? Di fronte ad una forma psicotica irrecuperabile?
La domanda con la quale ci siamo lasciati è: dare risposte equivale a dare un senso? Esistono momenti diversi, bisogni diversi e forse soluzioni diverse a seconda del momento.
Un possibile percorso di approfondimento viene dal confronto tra il filosofo e lo psichiatra nel video che segue.
[Hanno partecipato a questo Simposio: Luca, Mattia, Ilaria, Irene, Ada, Elisa e Francesca]