dopo il discorso devastatore
Omaggio ad Andrea Zanzotto arrivatomi dalla ML [R-esisitiamo], scritto da Giuliano Scabia.
Non è vero che Andrea (Zanzotto) è morto.
 Lo so di sicuro.
 Mi ha strizzato l’occhio alcuni mesi fa, a casa sua – e ci siamo messi d’accordo
(nell’occhio – che di là passa tutto) 
e anche Uttino (il gatto) ha strizzato l’occhio – prima ad Andrea, poi a me.
 Per questo so che Andrea (col gatto – come Petrarca) è scappato dalla porta di dietro 
e si è nascosto fra le erbe – a Ligonàs – nell’umido –
e là passeggia e coltiva visioni e paesaggi –
e se la ride. 
Perché in 90 anni non ha imparato niente.
È sicuro che è là :
 e so che ci sono anche Goffredo (Parise), Mario (Rigoni-Stern), Gigi (Meneghello) 
e probabilmente Comisso.
 Sono là a Ligonàs ma hanno progetti di giro vagare:
 a volte su in Altopiano – a casa Rigoni: 
a volte a Malo – e anche a Urmalo –  lungo il Leogra:
 a volte a Salgareda – nella casetta di Parise:
 a volte a Zero Branco – da Comisso mato.
 A fare cosa? 
A dirsi le novità , e qualche requiem, qualche libera nos – e anche stupidade. 
E il gatto dietro.
 Insomma vagano le terre di casa – e le pesteggiano.
Giorno e notte.
 Non muoiono mica, gente così.
 Lo so.
 Prima di partire strizzano l’occhio.
Vero, Andrea Zanzotto?”
Succede questo: è come restaurare il vuoto che c’é nel mondo,
attraverso la trama dei versi, dei ritmi…
però all’inizio c’era il vuoto, c’era il no,
la negazione”
Andrea Zanzotto risponde alla domanda: perché hai iniziato a scrivere poesie? Tratto da Ritratti, a cura di Carlo Mazzacurati e Marco Paolini, ed. Biblioteca dell’Immagine, 2001
(il titolo del post è un verso di Davide Maria Turoldo:
Poesia
è rifare il mondo, dopo
il discorso devastatore
del mercadante
Poesia, in O sensi miei…, intr. di A. Zanzotto e L. Erba, Rizzoli, Milano 1993)
Rock animato
Un omaggio ad Alberto “Toro” De Rossi.
Expedit#1
Dò il via ad una “nuova rubrica”, il cui titolo richiama per converso l’ingiunzione di Pio IX ai cattolici nel 1868. Intendo provare a seguire la vicenda riassumibile dal binomio/slogan “cattolici e politica”. Benché già solo questo abbinamento risulti noioso… Ma non so come altrimenti farvi riferimento.
Primo contributo, il “manifesto” di quattro vecchiardi del marxismo italiano. In concerto con BXVI. Ma non pensiate si tratti di cattocomunismo banale.
paroleNONparole
(da “Il Post”, solito arguto)
de-schola#9
Un articolo interessante su come potrebbe cambiare la nostra mente e quindi dovrebbe cambiare anche l’insegnamento. E’ scritto da Marco De Rossi nel blog che compone con Alessandro Cane.
Nell’immagine: [A boy sits amid the ruins of a London bookshop following an air raid on October 8, 1940, reading a book titled “The History of London.â€]
Dignità !#1
Monitorare solamente, e quindi a maggior ragione comprendere, quel moto di protesta che ci riguarda e che corre da continente a continente in queste ore, è difficile. E’ difficile anche star qui a scriverne quando avverto che prendere parola pubblica diviene urgenza.
Ma quel che posso fare ora è raccogliere qualche opinione e intuizione, per avviare il lavoro di comprensione: non per catalogare e archiviare, ma per annusare dove stiamo andando.
Ai giovani dico: guardatevi attorno, e troverete gli argomenti che giustificano la vostra indignazione, il trattamente riservato agli immigrati, ai san papiers, ai rom. Troverete situazioni concrete che vi indurranno a intraprendere un’azione civile risoluta. Cercate e troverete!”
(Stéphane Hessel, Indignatevi!; add editore, Torino 2011)
E’ un errore snobbare la protesta, di Paul Krugman (da “IlSole24ore”)
Se siamo arrabbiati noi per la crisi, figuriamoci loro che sono giovani, che hanno venti o trent’anni e sono senza prospettive” (Mario Draghi, qui)
Il punto della situazione di oggi, 15 ottobre 2011 (da “Repubblica”).
Porzione di prima pagina de “Il Fatto”, contiene il link all’articolo di Furio Colombo (da altro blog).
Sul “Il Post” una galleria in progress degli scontri a Roma.
E emerge con evidenza che qui non c’è più la dignità della protesta.
Qual è il limite della tolleranza?
Io penso che questo sia comunque uno scontro tra fascismi: il totalitarismo del mercato cieco come pensiero unico e il fascismo di sinistra, di chi ritiene che non ci sia altra via alla violenza. A meno di non leggervi alle spalle l’azione di gruppi organizzati dal potere stesso (ma prima delle dietrologie, guardiamo gli sviluppi).
Qui un commento interessante (dal blog di Minimum Fax; 15 ottobre)
Qui il commento di Mario Calabresi (da “La Stampa”; 16 ottobre) da cui è tratta la citazione che segue:
Da noi accade ancora perché non abbiamo mai preso (uso il plurale perché dovrebbe farlo la società tutta) le distanze in modo netto e definitivo dalle pratiche violente. Perché siamo i massimi cultori del «Ma» e del «Però», che servono a giustificare qualunque cosa in nome di qualcos’altro”.
Altri commenti interessanti segnalati in questa pagina del blog di Massimo Mantellini.
Qui un commento di Francesco Costa, dal suo blog, attraverso “Il Post”.
Da voce ad una intuizione di tanto tempo fa: non c’è differenza qualitativa tra chi sputa in faccia a Pannella, chi zittisce (o cerca di zittire) Pansa durante la presentazione del suo libro, chi tira sampietrini, chi spacca vetrine, chi spacca teste. Si tratta di differenze quantitative – da misurare sulla base del diritto penale. Ma è sempre e comunque violenza. Io chiamo la posizione del più forte (perché in gruppo, perché armato, perché urlante) che sottomette il più debole (perché da solo, perché inerme, perché senza voce) in un unico e sempre medesimo modo: fascismo.
E questo pur condividendo poco con Pannella, molto poco con Pansa, nulla con chi alza le mani.
de-schola#5.1
Qui Ilvo Diamanti recupera il discorso che postai qui.
Parole condivisibili. Ma.
Ma “studiate” è un invito o un’ingiunzione? Il tono di ID è quello del consiglio, o meglio ancora è descrittivo: le cose stanno così e stanti così le cose, studiate.
Il fatto è che nella scuola come in molte case “studiate” è sempre stato (o per lo più) un imperativo. Ma il peggio è che è sempre stato ipotetico: se vuoi…, allora devi studiare. Dopo il “vuoi” metteteci quel che vi pare, tanto la sostanza non cambia.
Lo studio è visto come un mezzo-per: il lavoro, l’università , lo spirito critico, la cultura. Studio e il prodotto del mio studio è un pacchetto da usare.
E se invece lo studio non potesse patire alcuno scopo? E se lo studio fosse solo contemplazione? Pura espressione di meraviglia? Praxis e non poiesis?