OdC: la legge e le vite

Il sito unimondo ci ricorda una ricorrenza importante, quella dei quarantanni della legge sulla obiezione di coscienza al servizio militare obbligatorio, fiore nato dall’humus culturale e civile del secondo dopo guerra (alcuni nomi: Lelio Baso, La Pira, Balducci, Milani). , Relatore Giovanni “Albertino” Marcora partigiano cattolico.

«Gli obbligati alla leva che dichiarano di essere contrari in ogni circostanza all’uso personale delle armi per imprescindibili motivi di coscienza possono essere ammessi a soddisfare l’obbligo del servizio militare nei modi previsti dalla presente legge.
I motivi di coscienza addotti debbono essere attinenti ad una concezione generale basata su profondi convincimenti religiosi o filosofici o morali professati dal soggetto.
Non sono comunque ammessi ad avvalersi della presente legge coloro che al momento della domanda risulteranno titolari di licenze o autorizzazioni relative alle armi indicate rispettivamente, negli articoli 28 e 30 del testo unico della legge di pubblica sicurezza o siano condannati per detenzione o porto abusivo di armi»

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Il servizio civile obbligatorio sostitutivo divenne non solo espressione di uguaglianza sostanziale, come dalla lettera costituzionale, ma occasione per migliaia di giovani di veder cambiata la propria esistenza. Anch’io sono tra di essi: la mia esperienza presso Caritas di Padova è stata a posteriori decisiva per il modo con cui oggi cerco di fare l’insegnante. Non mi riferisco a buonistici pressapochismi su “quanto i poveri abbiano da insegnare”, ma proprio al fatto che le persone e gli eventi che mi vennero posti di fronte mi chiesero – con la dolcezza della realtà immodificabile – di cambiare me stesso, in meglio. Obbedire dunque, ma alla “fertile bassura dell’esperienza», delle cose così come stanno.

Scrissi allora e penso tuttora:
Che cosa è PROGETTO MIRIAM? Molto in pratica, è un casa di accoglienza. Per chi? Per ragazze e donne straniere che sono uscite dalla tratta per prostituzione. Qui si trova subito una grande differenza che ho scoperto lì: una cosa è la TRATTA, un’altra è la PROSTITUZIONE. Una cosa è vendere una certa serie di servizi con il proprio corpo, in modo libero, come scelta, altra cosa è essere ridotti in schiavitù e costretti a battere. Non dico che una cosa sia più giusta o più facile dell’altra, dico che sono diverse.
LA STATISTICA dice: di 100 prostitute, 80 sono CONDIZIONATE, 20 sono sex-workers. Di queste 80, il 30 per cento è costretto sotto schiavitù a prostituirsi. L’altro 70 p.c. lavora per strada perché non ha un giro migliore e forse si prostituirebbe anche altrove.
Vedete: al Miriam ci sono tre suore, che curano i diversi aspetti della casa e dell’organizzazione, progettuale e pratica, dell’attività. Hanno la consapevolezza che ci sono donne che scelgono di, come si dice, “fare la vita” e che ci sono uomini che vanno con queste donne. Da parte loro non ho mai sentito un giudizio moralistico su queste cose, un giudizio che dica: è sbagliato vendere il proprio corpo e comprarlo per denaro. Che magari è una cosa che ci si aspetterebbe da una suora. Altra cosa è la TRATTA. Che cosa significa essere costretti a prostituirsi, essere sottoposti a violenza quotidiana io non lo so fino in fondo, perché non l’ho provato sulla mia pelle, perché non sto dentro il cuore e la testa delle ragazze che ho incontrato. Sono stato accanto a queste persone, sono stato utile a loro per cose molto pratiche e ho avuto la fortuna di essere stato in ascolto di queste persone. Che cosa vuol dire “credere di sapere e invece non sapere”? Ero in macchina con una ragazza dell’Est, ci trovavamo dalle parti dell’Ospedale. Forse era contenta perché si aperta una possibilità di lavoro, finalmente, e di un lavoro che le piaceva. Insomma raccontava di sé e della sua esperienza: di come era arrivata in un furgone dal suo paese, di come le avessero spiegato che la strada era il lavoro che doveva fare, di come fosse sempre chiusa in casa, dovesse subire violenze dal boss, non potesse uscire se non accompagnata dalle dieci alle quattro di mattina in via del Plebiscito o giù di lì, a battere. E io – preso dalla guida della Uno scassata delle suore – mi perdevo nei miei pensieri, che da bravo studente di filosofia, erano sulla libertà, sulla mancanza di libertà, sul rispetto dell’uomo… Quasi leggendomi nel pensiero, durante il racconto, lei mi fa: perché, in quei momenti, quando ti fanno violenza, quando ti menano, non dici: vorrei essere libera, il tuo pensiero non è la libertà, con la ELLE maiuscola, direi io, ma: smettetela di farmi del male. Preghi perché non ti prendano a pugni, non pretendano che tu gliela dia con la forza, non ti lascino segni sul volto, sul corpo, non ti facciano uscire sangue dal naso… Capite il salto? La differenza? Io viaggiavo con la testa fra concetti, magari giustissimi. Lei SENTIVA queste cose sulla pelle.

Grazie a quella legge, ho potuto aprirmi alla realtà, ho scardinato i portoni delle bambagie parrocchiali e guardato in faccia i turoldiani “grumi neri di sangue” che gridano vendetta al Signore. E imparato a leggere la mia storia come storia di segni (qui sotto: il pozzo, tratto dal Piccolo Principe, che usammo al tempo come simbolo del lavoro a Progetto Miriam, richiamandoci all’episodio evangelico della samaritana).

pozzetto2 copia

E adesso, dopo 40 anni, due osservazioni a posteriori di quella legge, ormai inutile (la leva obbligatoria non c’è più):
a. perché non pensare ad un servizio civile obbligatorio per maschi e femmine, dopo la scuola superiore? QUI uno spunto.
b. esiste un uso strumentale dell’obiezione di coscienza (quindi in senso lato) in ambito sanitario? Un uso condizionato della libertà personale di operatori medici che accettano di rifiutare la pratica dell’IVG per – ad esempio – mantenere il posto? QUI, QUI, QUI e QUI ampi dati per alimentare il dibattito.

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