Simposi in tempo di DaD#3

Terzo: Giovedì_14_maggio_21.30@Zoom

Inevitabile, strattonati dalla cronaca, giungere a parlare di Silvia Romano.
Inevitabile osservare la qualità del dibattito pubblico. Proviamo a farci aiutare da qualcuno di più pacato, come Tahar Ben Jelloun o Umberto Galimberti. Il primo, scrive dal blog di Micromega:

Silvia/Aisha è diventata un personaggio che confonde le piste. Convertirsi a una religione dopo una riflessione matura, con cognizione di causa, per convinzione vera e profonda è una cosa assolutamente normale e ammessa. Ma convertirsi dopo aver passato così tanti mesi sotto la pressione di mercenari che utilizzano l’islam come copertura per estorcere denaro a uno Stato, è una scelta che apre un dibattito. L’isolamento, il terrore, la paura di essere uccisi sono ingredienti che a volte perturbano la ragione e la libertà di spirito. Non pensi più allo stesso modo quando sei libero e quando sei privato di ogni libertà, con in più la minaccia di perdere la vita. È un’angoscia profonda quella che probabilmente ha dettato a Silvia una scelta del genere. Ora è libera sia di accettarla consapevolmente sia di liberarsene.

Perché parlare della conversione? La domanda vale per le riflessioni garbate di TBJ e di UG, come per le volgarità della melma social. Ci siamo chiesti in altri termini, perché ci colpisca così tanto la questione religiosa. Si tratta, come sostiene Galimberti, della nostra nostalgia per una dimensione che supera il nostro Io e che il cattolicesimo non riesce più a incontrare? O si tratta della dinamica della noia che appare ricorrente nella nostra informazione? In altri termini: i virologi in TV ci stanno stufando?

Se poi ci concentriamo sulla parte peggiore di noi, di cui non intendiamo riprodurre nulla, ci chiediamo: perché questa rabbia? Perché si tratta di Islam? Perché è un donna? Perché è stata una cooperante? Due sono le accuse che ricorrono spesso: l’abito, offensivo per gli italiani; il pagamento del riscatto ad un gruppo terroristico. Ma poi a chi sono rivolte le parole offensive? A chi si rivolge un “leone della tastiera”? A margine, conviene notare che negli ultimi mesi è stato fatto – più del solito – un certo uso politico della religione cattolica.

In questo modo, con questo linguaggio puramente emozionale, si rinuncia a comprendere le cose. Perché in effetti potrebbe essere legittima la domanda sul riscatto. E anche la questione ad essa correlata: può uno Stato (un governo) contrattare con una organizzazione criminale? Vale per la Mafia, vale per il rapimento Moro – certo in contesti diversissimi.

E’ proprio il linguaggio che ora ci interessa.
E qui la discussione va verso la scuola. Come fa la scuola a formare all’informazione consapevole? Sembrerebbe infatti l’approfondimento un antidoto al tipo becero di comunicazione che diventa virale sui social. Approfondire vuol dire prendere le distanze, vuol dire non far prevalere la parte emotiva. Ci viene in mente il dilemma morale dell’esperimento del carrello ferroviario. Può essere uno strumento per avviare una discussione in classe. Ma perché si fatica ad approfondire? Perché si fatica a leggere di più? Forse c’entra l’imposizione della lettura? Forse l’abitudine a leggere libri insieme ai genitori da piccoli?

[Hanno partecipato Ada, Irene, Silvia, Luca]