Martedì scorso l’Istituto nel quale lavoro ha ospitato questo progetto della Comunità di San Patrignano. Dateci un occhio, io vi scrivo quel ho pensato e sentito.
Le questioni sui metodi usati in comunità , probabilmente più in passato che ora (uno dei responsabili, nel colloquio con i docenti ha parlato dell’aver dovuto imparare dai propri errori, in maniera generica, ma sincera), qui non ha importanza. Si tratta invece di aver individuato una formula interessante – ed efficace – per proporre il macrotema “droga” agli adolescenti.
Il primo dato importante è che l’informazione tecnica sulle droghe lascia il tempo che trova. I ragazzi accedono quotidianamente a decine di forum in rete nei quali viene spiegato tutto, dagli effetti al bricolage chimico, ai luoghi reali o virtuali dove acquistare prodotti finiti o materie prime.
Il secondo dato è che parlare di droga mettendo in evidenza la distruzione della vita è una strategia che contiene non solo una logica punitiva per gli ex-tossici, ma anche un messaggio che non permette di andar oltre l’annichilimento sociale che concorre al problema. Il dibattito sulla droga è banale e banalizzato, incastrato nelle polemiche tra legalizzatori e iper-rigidi, tra leggero e pesante, tra droghe illegali e droghe tollerate, come l’alcol. Insomma non tiene conto di che cosa sta dietro. Dietro al mercato del farmaco, come baraccone sostenuto da chi ha convenienza ad individuare la soluzione chimica per ogni micro dolore umano. Dietro alle singole vite di donne e uomini che passano nel buio fitto del silenzio della ragione e conducono se stessi e i propri cari all’autodistruzione.
Al contrario questo progetto punta a mettere al centro la possibilità di uscirne. La strada per tornare ad essere innamorati delle cose e della vita. Può sembrare retorico, detto così. Non lo è se si ascoltano da due protagonisti veri di queste vicende le narrazioni delle proprie normali esistenze, prima durante e dopo. Luca e Riccardo, sul palco insieme al regista e sceneggiatore Francesco Apolloni, sfruttando la dinamica del reality, parlano di se stessi. Non lo fanno da attori protagonisti, perché non interpretano il timore di parlare o cantare, l’imbarazzo, l’emozione di ripensare a papà e mamma. Ma così come sono, si propongono.
La vita parla di sé: la vita parla da sè. Non servono tirate moralistiche, nè rimproveri accigliati. I ragazzi raccolgono un’emozione e questa ricorda loro che la vita è già stupefacente. Al termine Apolloni rammenta al pubblico che alcuni studi dicono che stiamo meglio se ci abbracciamo almeno cinque volte al giorno con qualcuno. E così ha chiesto a noi in platea di farlo. Vinto l’immediato imbarazzo, adulti e ragazzi si sono abbandonati.
Una cosa impossibile nella dinamica glacialmente cartesiana dell’istituzione scolastica. Ho potuto davvero godere di quegli abbracci.
Mi piace molto l’idea dei 5 abbracci al giorno; ma poi si danno o si ricevono gli abbracci? Certo in ambiente lavorativo non è facile stare a questa buona regola, magari la si può adattare cercando di fare 5 gesti di attenzioni a sè/a qualcuno al giorno.
Ho seguito prevenuto l’incontro riservato ai docenti al pomeriggio e come ogni volta che inizio qualcosa con questo atteggiamente, anche in questo caso mi sono dovuto ricredere, ma non alla fine, bensì dopo 10 minuti. Non è stato l’ennesimo incontro sulle conseguenze e le tipologie di droghe esistenti sul mercato (che ormai trovo anche difficile da definire cosa sia o non sia droga!), ma la conferma che questi ragazzi possono essere salvati dall’autodistruzione con un semplice abbraccio, la conferma che non c’è nulla di più educativo che voler bene a ciascuno di loro ogni volta che si varca la porta dell’aula! Se solo si sentissero voluti bene veramente…